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Per il 27% «credit crunch» in agguato

di Rossella Bocciarelli

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8 ottobre 2008


Un orizzonte più fosco di qui a tre mesi ma più chiaro di quanto si stimasse in precedenza nell'arco dei tre anni. Così 480 imprese, intervistate fra il 2 e il 22 settembre nell'indagine trimestrale Bankitalia-Il Sole 24 Ore sulle aspettative di crescita e inflazione, si rappresentano il futuro.
C'è la netta percezione di essere entrati nella parte più dura del ciclo economico, ma c'è anche la consapevolezza che, nel medio termine, da questo tunnel si uscirà. Insomma, un sentiment del tipo "erano i giorni migliori, erano i giorni peggiori", come scrive Dickens nell'incipit di "Le due città". Una storia, che non a caso, in quest'epoca di grandi scosse finanziarie che si irradiano dagli Stati Uniti, è diventata lo spettacolo di maggior successo a Broadway.
Non c'è dubbio, infatti, che i giudizi delle imprese sugli andamenti dell'ultimo trimestre rimangano prevalentemente negativi: il 56,1 per cento delle aziende con almeno 50 addetti ritiene infatti che la situazione economica rispetto a tre mesi fa sia peggiorata; solo il 40 per cento pensa che sia rimasta invariata e il saldo tra i giudizi negativi e quelli positivi si è accresciuto di 8,5 punti percentuali. Il pessimismo, inoltre, risulta più diffuso che in giugno, se alle aziende si chiede che tipo di condizioni operative stimino per l'ultima parte del 2008. Risulta, poi, confermato dall'indagine il maggiore pessimismo che in questo momento caratterizza il settore dei servizi (che comprende anche le aziende di credito), le aziende del Nord e quelle di minori dimensioni. Insomma, sono decisamente peggiorate le aspettative a breve termine, come segnala anche l'aumento della percentuale di imprenditori che ritiene nulla la probabilità di un migliormanto nei prossimi tre mesi.
Se invece si parla di previsioni economiche di medio termine, il 48,6 per cento delle aziende si attende un miglioramento (il 47,7% in giugno) mentre è diminuita la quota di chi nell'arco dei tre anni si attende un peggioramento: era il 23,4 a giugno adesso è il 20,4 per cento delle imprese. La quota di aziende che prevede un miglioramento a tre anni, annotano gli economisti di Bankitalia, è maggiore per le grandi imprese (66,2 per cento), mentre la percentuale di aziende che nel prossimo triennio si attendono un peggioramento è più elevata sotto il profilo territoriale, nel Centro Italia (32,6 per cento).
Ad influenzare in senso negativo le prospettive delle aziende, in ogni caso, sono essenzialmente tre fattori: la dinamica del costo delle materie prime, quella del costo del lavoro e le condizioni di accesso al credito. In particolare, le risposte fornite dalle aziende sulle condizioni creditizie sembrano rispecchiare l'aumento dei timori di una stretta. È vero che il 71,8 per cento delle imprese dichiara che le condizioni di credito sono rimaste invariate rispetto al trimestre precedente, ma c'è un 26,7 per cento degli intervistati per il quale si è verificato un peggioramento (la percentuale era pari al 22,7 per cento nella precedente rilevazione). Il saldo netto dei giudizi, complessivamente è negativo (-25,2) ed è più elevato fra le imprese del Nord-Est e nelle grandi aziende, con mille dipendenti e oltre.
Non basta. Spiegano i ricercatori della Banca d'Italia che, per le imprese che si sono rivolte alle banche per chiedere l'attivazione di nuovo credito o l'estensione di linee di credito esistenti, il peggioramento del contesto appare più sensibile rispetto al totale del campione: 62,9%, contro il 26,7% (nella rilevazione di giugno le quote corrispondenti erano pari al 51,8 e al 22,7 per cento). Gli aspetti relativi alla disponibilità del credito sono quindi divenuti una preoccupazione più consistente nell'arco degli ultimi tre mesi.
Per contro, si sono leggermente attenuati, rispetto a tre mesi fa, i timori legati alle tensioni sui mercati delle materie prime. Non a caso anche nello stimare la variazione dei propri prezzi di vendita, le aziende hanno dichiarato un aumento dei propri prezzi di vendita, per il prossimo anno, pari al 2,4% in diminuzione rispetto a quanto stimavano in giungo quando avevano valutato l'aumento dei propri prezzi nei dodici mesi al 2,7 per cento. Nel fornire spiegazioni sulle determinanti di questi aumenti, le aziende affermano che le tensioni sui propri prezzi deriveranno principalmente dalla variazione del costo del lavoro e delle materie prime; esse ritengono infatti che le politiche di prezzo dei concorrenti eserciteranno un'influenza al ribasso. Per quel che riguarda, invece, l'inflazione al consumo in Italia nel prossimo anno, in settembre le attese sono risultate in lieve rialzo, al 3,7% contro il 3,5% registrato in giugno.

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